Lavoro e diritto alla disconnessione sotto la lente degli Organismi europei

La pandemia in corso ha costretto ad implementare l’utilizzo del telelavoro in molti settori e a ripensare l’organizzazione del modo di lavorare.

L’uso di strumenti digitali offre vantaggi sotto diversi profili; ad esempio, evitando gli spostamenti si riduce l’inquinamento ambientale e si favorisce la flessibilità organizzativa del lavoratore.

Non mancano tuttavia ripercussioni sfavorevoli sui lavoratori.

L’uso delle tecnologie digitali tende ad assottigliare sempre di più il confine tra il tempo dedicato al lavoro e quello dedicato alla vita privata, con il concreto rischio di una “iperconnessione”, non soltanto effettiva ma anche psicologica.

Staccarsi completamente dal lavoro diventa più difficile e spesso l’orario lavorativo si dilata senza un corrispondente aumento di retribuzione. L’effetto è ancora più penalizzante per le donne che spesso devono aggiungere al lavoro professionale quello domestico e di cura dei figli.

Gli effetti di una connessione eccessiva, o addirittura permanente, sono dannosi sulla salute sia fisica che mentale, provocando isolamento sociale, dipendenza tecnologica, stati ansioso-depressivi e, nei casi più gravi, veri i propri disturbi mentali.

In tale nuovo contesto lavorativo e sociale si sta profilando il diritto del lavoratore alla disconnessione quale diritto fondamentale della persona, strettamente connesso al diritto alla salute e al diritto alla limitazione dell’orario di lavoro.

Proprio cogliendo l’esigenza di trovare nuove e più adeguate tutele del lavoratore, il Parlamento europeo, con una recente risoluzione, ha invitato la Commissione a valutare e ad affrontare i rischi di una mancata tutela del diritto alla disconnessione; in particolare il Parlamento auspica che si possa arrivare all’emanazione di una direttiva comunitaria in grado di assicurare il diritto alla disconnessione in tutti gli Stati membri.